Il Classico Non Muore Mai

sabato 25 gennaio 2014

Classici... da conversazione

Sebbene al giorno d'oggi sia tanto diffusa l'opinione secondo la quale siamo nel mondo della comunicazione, mi sembra che si stia perdendo in qualità a fronte di un modesto guadagno in quantità. Non siamo più in grado di comunicare bene, nonostante si sprechino le offerte di corsi e strategie per comunicare "bene" e con efficacia il proprio messaggio.
Uno dei principali problemi in questo campo è il conflitto che si è venuto a creare tra la comunicazione odierna e la conversazione, il dialogo. Mentrela prima ha l'obiettivo di farti arrivare assolutamente il suo messaggio, bombardandoti con mirabolanti effetti visivi, stordendoti in ogni modo possibile, urlando se necessario e usando ogni trucco spiegato dalle moderne scienze cognitive, viceversa la conversazione prevede l'accettazione dell'altro, l'ascolto, la logica dell'alternanza.

Parliamo a turno e altri consigli



Già Cicerone, nel De Officiis, ci metteva in guardia contro i soliloqui sottolineando come, così come in ogni altra cosa, anche nella conversazione familiare, amichevole, è giusto l'avvicendarsi degli interlocutori (Libro I, cap. 37, par. 134). D'altronde lo sappiamo bene, a tutti noi fa piacere esprimere le nostre opinioni, avere l'occasione di dimostrare quanto siamo brillanti, intelligenti e sagaci. Aspettiamoci dunque che anche gli altri nostri compagni di conversazione abbiano lo stesso piacere e teniamone conto.
Ma il contributo di Cicerone all'arte della buona conversazione non termina qui. Ecco quindi un breve riassunto di ciò che consiglia l'oratore, espresso per punti:

  • una persona ben educata deve evitare di essere prolissa, lasci parlare tutti i partecipanti;
  • chi partecipa ad una conversazione deve adeguare il suo contegno al soggetto della conversazione stessa, senza trattare con leggerezza argomenti seri o con serietà argomenti leggeri;
  • mai parlar male degli altri in una conversazione, in special modo se assenti: in primo luogo è meglio parlare sempre in positivo, in secondo luogo sarebbe una scorrettezza nei confronti della persona oggetto della conversazione;
  • le conversazioni dovrebbero vertere su argomenti privati, sulla politica o sulle arti, e quando il discorrere prende una piega diversa bisognerebbe cercare di riportarlo su questi temi;
  • evitare di parlare di cose che non interessano gli altri: annoiare il prossimo è sempre scortese;
  • imparare a concludere una conversazione con tatto: nulla è più spiacevole di una brusca interruzione;
  • sopra ogni cosa: mai perdere la calma o parlare con irritazione.


 Nulla di terribilmente facile ed immediato, ma come si sa la buona conversazione è un'arte e non vi è arte che non richieda un certo esercizio per essere praticata decentemente. In ogni caso, se volessimo essere ultrasintetici, potremmo riassumere il tutto con un sol motto: rispettare gli altri. E il rispetto è l'anima stessa del dialogo costruttivo. Attenzione, quanto sopra non vuol dire che si debba essere necessariamente d'accordo con chiunque e qualunque cosa dica. Bisogna semplicemente esprorre le proprie idee tenedo conto delle possibili reazioni che queste possono suscitare nell'interlocutore ("rischio di offenderlo?", "lo annoierò?"). Facciamo caso quindi alle reazioni di chi ci ascolta, notiamo le sfumature dell'umore rese evidenti dal linguaggio del corpo; per quanto bene si possano celare le proprie emozioni, lo si faccia per educazione o per riserbo, qualcosina trapela sempre. Cerchiamo i dettagli, negli altri e in noi stessi.

In fin dei conti l'attenzione al dettaglio è la quintessenza dello stile. Anche dello stile classico, direbbe Cicerone!

martedì 10 settembre 2013

Lino e paglietta, estate perfetta!

L'estate è ormai quasi archiviata, tuttavia in alcune località del mediterraneo il caldo continua a farsi sentire. Cosa prevede il guardaroba classico in queste evenienze? Ecco due elementi immancabili che la sapienza dei tempi ha selezionato per noi facendoli entrare a buon diritto nel tempio del classico.

L'abito di lino

Il lino è il classico tessuto estivo in ragione della sua leggerezza e per il fatto che viene tessuto con una trama che permette una maggiore traspirazione. Sebbene questo genere di tessuto sia più in uso nei paesi caldi, il che giustifica anche la maggior diffusione di abiti di lino in tenui colori pastello nei toni del giallo (dal beige al corda) oppure in quelli dell'azzurro (dal cenere al carta da zucchero), anche in nazioni contraddistinte da climi più freschi come l'Irlanda ha potuto svilupparsi una tradizione di utilizzo e produzione di capi in lino.


L'unico difetto che possiamo ascrivere ad un capo di lino è la facilità con la quale si stropiccia, rendendolo molto spesso poco presentabile nonappena dopo il primo utilizzo. Certo ad alcuni piace l'aria trasandata e vissuta che questo genere di trattamento conferisce, ma generalmente sarebbe meglio evitare di presntarsi ad occasioni formali coperti di pieghe. A coloro che non volessero comunque rinunciare alle qualità di questo classico tessuto consigliamo nondimeno di procurarsi capi in lino misto a cotone, o addirittura seta, che minimizzano il formarsi delle pieghe pur mantenendo intatta la freschezza dell'abito.


Il cappello di paglia

Un altro classico estivo è senza dubbio il cappello di paglia. Purtroppo la moda sembra scoraggiare sempre più l'uso del cappello in generale, del cappello in estate in particolare. Tuttavia per le nostre strade è ancora possibile vedere una nutrita selezione di Panama, i classici cappelli fatti di fibre elastiche di palma intrecciati, che hanno avuto una maggiore fortuna per essere stati indossati anche recentemente da Sean Connery o in film come Il sarto di Panama.


A dire la verità però il termine "paglietta" si riferisce, o meglio si riferiva fino a qualche tempo fa, ad un cappello meno esotico, quello che gli inglesi definiscono boater. Dalla seconda metà dell'Ottocento questo cappello tipico dei canottieri (da cui suo nome) si diffuse nell'abbigliamento maschile diventando in breve tempo il cappello estivo da giorno per eccellenza. E non era solo un cappello maschile, anzi. Forse è uno dei primi accessori veramente unisex che la storia del costume possa ricordare. La mise più tipica? Per l'uomo pantoloni chiari, bianchi o beige, con scarpe in coordinato, camicia bianca o azzurro tenue, blazer di cotone o di lino, cravatta e boater. Per le donne invece camicia e gonna chiare, cravatta e boater!
Un'ultima curiosità: la forma tipica della paglietta ha ispirato la fantasia dei tedeschi per i nomi, così dalle loro parti se cercate un boater chiedete pure di una sega circolare (Kreissäge)!

Avete un boater? Con cosa lo mettete? E cosa ci dite del lino nei vostri armadi?

martedì 4 dicembre 2012

Un'icona del natale classico: le origini di Babbo Natale

Avete presente quel simpatico vecchio corpulento con la barba bianca e il vestito rosso e bianco? Sì, esatto, parlo proprio di Babbo Natale. Un classico, mi direte voi. Sì, e no: in effetti la figura che conosciamo noi ha poco più di cent'anni, ma le sue origini ne hanno molti di più.

San Nicola di Myra: diretto antenato di Babbo Natale

Tutto cominciò con un vescovo cristiano nella Turchia del IV secolo, Nicola di Myra, il quale secondo la tradizione avrebbe esortato i parroci della sua diocesi a recarsi in visita ai bambini della diocesi in occasione della commemorazione della nascita di Gesù con un piccolo regalo, cogliendo l'occasione per fare un po' di catechismo. La tradizione di donare dei piccoli oggetti simbolici si sovrapponeva così a quella romana già presente di farsi reciprocamente dei regali simbolici durante i Saturnali (dal 17 al 23 dicembre) e in occasione della festa del Natalis Solis Invicti. L'uso aveva già più di mille anni, nato quando Tito Tazio aveva portato come buon auspicio un rametto preso dal bosco della dea sabian Strenia, situato vicino Roma. Il nome della dea, che in lingua sabina significava salute, abbanodanza, prosperità, passò a designare anche i regali fatti in quell'occasione (stenae), e ancora oggi sopravvive nelle nostre "strenne editoriali", quei libri pubblicati la prima settimana di dicembre con lo scopo di proporsi come regalo di natale.

Dall'antichità classica alla Coca Cola: la storia di Babbo Natale

Ma torniamo a noi, e all'associazione dei regali con San Nicola. Con la diffusione del culto cristiano nei paesi nordici si diffuse anche la devozione verso il santo, così come la tradizione di fare doni ai bambini, e di nuovo si ebbe un fenomeno di soncretismo con le tradizioni precedenti. Infatti nei paesi scandinavi si narrava già che il dio Odino facesse una grande battuta di caccia insieme agli altri dei e ai guerrieri caduti che stavano nel Valhalla per festeggiare il solstizio d'inverno, e che in quest'occasione mettesse dei doni negli stivali di quei bambini che gli avessero fatto trovare paglia o zucchero per sfamare il suo cavallo volante Sleipnir. Fu abbastanza semplice sostituire il vecchio dio nordico con la barba bianca con il generoso vescovo cristiano, anche lui raffigurato barbato secondo la tradizione dei Padri della Chiesa. Ancora oggi, nei paesi anglosassoni rimane l'uso di appendere la calza al caminetto affinchè Santa Claus (una delle tante versioni dell'originario Sanctus Nicolaus) le riempia di dociumi se si era stati buoni o di carbone se invece si fosse stati cattivi.Questa tradizione germanica passò poi anche in America attraverso i coloni olandesi nel XVII secolo.

Lo spirito del Natale presente: un antenato del classico Babbo Natale

Va bene San Nicola, ma come si arriva al nostro Babbo Natale vestito di rosso? Si tratta di un altro sincretismo ancora: questa volta la figura ad essere assorbita è lo spirito del Natale medesimo, chiamato Father Christmas, che nella tradizione anglosassone era rappresentato come un signore pienotto vestito di un mantello verde orlato di pelliccia, ovvero quelle stesse sembianze con cui è raffigurato da C. Dickens lo Spirito del Natale Presente nel suo celebre Canto di Natale. Nel 1823 uno scrittore newyorkese, quel C. C. Moore autore della poesia A visit from Saint Nicholas, cambiò il colore del mantello da verde in rosso e fu con queste caratteristiche che alcuni anni più tardi l'illustratore Thomas Nast lo raffigurò sulla famosa rivista statiunitense Harper's Weekly contribuendo a stabilire la nuova iconografia. Di rivista in rivista, il nuovo Babbo Natale passa poi nella pubblicità: prima per la White Rock Beverages nel 1915 e in seguito negli anni '30 nella fortunata serie di pubblicità natalizie della Coca Cola diventando in breve il simbolo mediatico che è adesso.

La classica immagine di Babbo Natale: ne ha fatta di strada!

Niente immagini del consumismo neo-liberista quindi, bensì un concentrato di tradizioni e di culture dall'antichità classica al folklore nordico passando per la tradizione cristiana, un vero esempio di sincretismo culturale che giustifica appieno l'uso di Babbo Natale come esempio di icona globale. 
Un altro esempio del fatto che il classico non muore mai!

giovedì 29 novembre 2012

Gli strani usi del classico: il misterioso LOREM IPSUM

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua...Quante volte abbiamo visto questa classica stringa di parole misteriose sugli schermi dei nostri computer, mentre impaginavamo un opuscolo con Publisher, scorrendo le schermate di un sito in costruzione, o semplicemente aprendo la guida di Word. Ma vi siete mai chiesti cosa significhi?

Il Lorem Ipsum: un testo classico della storia della tipografia
Nuova vita per un testo classico latino

Alcuni anni fa un lettore di una rivista specializzata in impaginazione e composizione di testi fece la stessa domanda, e la risposta fu più o meno la seguente: "Non è latino, sebbene ci somigli, e non vuol dire nulla" (Before & After, vol. 4 num. 1). A dire il vero la risposta non è del tutto esatta: in effetti si tratta di latino, ma non di un testo di senso compiuto bensì di un insieme pseudocasuale di parole scelte da un testo classico, il De finibus bonorum et malorum di Cicerone, scritto nell'anno 45 avanti Cristo (trovate il testo dell'intero paragrafo qui). Se ne accorse per caso un professore di latino della Virginia, Richard McClintock, nel corso di una ricerca sulla frequenza di utilizzo di alcune parole nella letteratura latina.

Come ha fatto a finire nei programmi di impaginazione? In realtà il testo risalirebbe a molto prima che i computer nascessero, e sarebbe opera di uno stampatore del Cinquecento che, volendo illustrare diversi titpi di carattere, scelse di farlo riproducendo varie volte lo stesso testo di fantasia. Per far ciò, ma volendo che però il testo sembrasse reale e non una sfilza di caratteri a caso, optò per la selezione di parole a saltare da un testo esistente, probabilmente uno che aveva sotto mano al momento (le opere di Cicerone furono stampate in grande quantità fin dagli albori della tipografia). L'uso di questo testo come segnaposto crebbe con la diffusione della stampa, e divenne tradiizone usarlo per le bozze di impaginazione, una tradione ripresa dai moderni programmi informatici fin dagli anni '60 del secolo da poco passato. La sua rinnovata fortuna nel mondo anglosassone deriva dal fatto che, come spiegava l'editore di Before & After, "il testo riprende approssimativamente la frequenza con la quale le lettere ricorrono nella lingua inglese, il che spiega perchè al primo sguardo sembra così reale".

Da Cicerone al Mac: il lungo percorso del lorem ispum

A dire il vero, da una ricerca sommaria su internet, non vi è modo di rintracciare alcun dettaglio che aiuti a ricostruire la figura dell'anonimo stampatore cinquecentesco che avrebbe inventato il lorem ipsum. Anche se fosse stato inventato solo negli anni '60 il testo è certamente un testo classico dal punto di vista dell'origine, ma lo è ancor di più perchè in campo tipografico è ormai diventato per tradizione il segnaposto classico in fase di impaginazione e in mancanza di un testo reale. Ancora un esempio quindi del classico che vive, si trasforma, e rivive di vita nuova per segnare ancora una volta il nostro mondo, dimostrando in modo talvolta bizzarro che davvero il classico non muore mai.

sabato 24 novembre 2012

La cena formale classica: cenare come a Downton Abbey

Una delle occasioni in cui maggiormente la serie Downton Abbey ha avuto modo di affascinarci per la sapiente ricostruzione storica e per il fascino della materia in esame è la cena formale inglese. Attorno al tavolo da pranzo i personaggi sfoggiano tutto il loro fascino, gli uomini in cravatta bianca e le donne in abito da sera e raffinata gioielleria, e si intessono conversazioni che spaziano dalla politica alla vita di campagna, dalla società in generale alle ultime sulla più ristretta "alta società".

Cena formale nel classico stile inglese a Downton Abbey

Questo genere di intrattenimento, che coinvolgeva in genere un numero cospicuo di persone intrattenendole per diverse ore, doveva essere preparato alla perfezione ed eseguito come la più articolata delle coreografie. Il minimo prevedeva sei diverse portate, ma questo numero saliva tranquillamente a venti con l'aumentare dell'importanza dell'occasione, del rango degli ospiti o della volontà di ostentare ricchezza e fasto. Nonappena il maggiordomo annunciava che la cena era servita, il padrone di casa offriva il braccio alla signora di maggior riguardo, l'ospite di maggior riguardo faceva altrettanto con la padrona di casa, e poi tutti gli altri ospiti a seguire entravano a coppie nella sala da pranzo. 

Cosa si mangiava. La cena iniziava solitamente con una zuppa o un consommé, cui seguivano le immancabili ostriche (vera e propria ossessione dell'epoca), per chiudere la prima parte con un piatto di pesce, spesso salmone o asinello. In questa fase dei vini bianchi leggeri potevano accompagnare le pietanze, mentre i rossi (dei "claret", ovvero vini del Bordeaux) facevano la loro apparizione con le portate vere e proprie. Il primo piatto, l'entrée, consisteva di carne bianca senza contorni, ma guarnita di una salsa. A seguire veniva il secondo, il vero piatto forte di carne rossa accompagnato da un contorno abase di verdure. Il "terzo" -solitamente a base di volatili- avviava già verso la conclusione, accompagnato com'era da frutta di stagione. La terza fase della cena, il dessert, vedeva sempre più di una portata (almeno due o tre) tra le quali spesso delle crepes Suzette o una Charlotte di mele, il tutto innaffiato da vini liquorosi o passiti.

Etichetta a tavola in stile classico: ogni cosa al suo posto

Rigida etichetta. Come in ogni impresa cooperativa, anche la riuscita di una cena formale dipendeva dal fatto che ognuno dei partecipanti interpretasse il suo ruolo secondo le regole, che si trattasse di un commensale o di un valletto. Dalla disposizione dei posti a tavola alla posizione delle posate, tutto segue regole precise che sono spesso oggetto di interi capitoli dei libri di buone maniere. Lo stesso vale per i tempi della cena, dettati -contrariamente a quanto si possa pensare- non dagli ospiti ma dai padroni di casa: un cenno della padrona di casa alla moglie dell'ospite d'onore ed entrambe si alzeranno da tavola, seguite da tutte le altre signore, per ritirarsi in un salotto a bere il caffé e lasciare gli uomini nella sala da pranzo a discutere le materie più scottanti tra liquori e sigari.

Volete organizzare anche voi una cena formale in stile inglese? Ecco dove cercare ispirazione: 
  1. Mrs. Beeton's Book of  Household Management: oltre 2500 ricette in questo classico della cucina vittoriana pubblicato in numerose edizioni a partire dal 1861: volume I, volume II, volume III.
  2. Mrs. Humphry's Manners for Women  - Mrs. Humphry's Manners for Men: due interessanti libretti di buone maniere con capitoli dedicati alla tavola, da aggiungere agli altri già segnalati infondo al post "L'etichetta: ovvero la struttura dell'eleganza classica".
  3. Treats of the Edwardian Country House - Entertaining: si tratta di due interessanti video di approfondimento su come organizzare una cena in stile edoardiano al giorno d'oggi: parte1, parte 2
 Avete seguito tutto alla lettera? Allora raccontateci come è andata!!

venerdì 23 novembre 2012

L'etichetta, ovvero la struttura dell'eleganza classica

So bene che quanto sto per scrivere potrà dispisacere a coloro che si ritengono troppo progressisti per riconoscere il valore della tradizione, nondimeno sfido chiunque a confutarmi nei commenti. 

Etichetta e galateo non sono affatto parole del passato: esse sono la struttura dell'eleganza classica

 E' ben noto a qualunque attento osservatore che qualità come l'armonia, la grazia, la disinvoltura si ottengono nella maggior parte dei casi, a meno di qualità innate, solo a prezzo di un costante esercizio ed una diuturna vigilanza su sè stessi. Nulla è più spiacevole di un movimento goffo, di una serie di note alla rinfusa, di una persona impacciata che spintona chiunque incontri. Ciò vale nell'esercizio delle attività artistiche e sportive, ma è altrettanto valido per quel che riguarda la buona educazione. Così come l'abilità infatti si acquisisce con la ripetizione dell'esercizio, e la virtù si apprende con il ripetersi di atti virtuosi, anche le buone maniere sono frutto di allenamento. Un tempo si trovavano facilmente a disposizione precettori pronti ad insegnare il necessario mentre oggi ci dobbiamo affidare a quanto ci insegnano con l'esempio genitori e conoscenti, oppure alle buone letture (alcune delle quali troverete segnalate alla fine).

Ma a che servono le buone maniere? E' un dato di fatto che la nostra natura, per quanto cortese e aggrazziata possa essere la nostra indole, tende naturalmente verso la praticità ed è perciò necessario addomesticarla perchè la convivenza tra gli esseri umani non sia troppo scomoda. Come in ogni società infatti, l'originario diritto di tutti a tutto deve essere limitato, e allo stesso modo la libertà di ognuno di fare a proprio modo deve trovare i suoi confini nelle simili e confinate libertà altrui. Poiché questa limitazione nasce dall'esistenza di altri esseri oltre noi stessi, il vero fondamento sociale dell'educazione si trova nell'altruismo: essere cortesi è in fin dei conti pensare agli altri prima che a noi stessi, al loro piacere prima che al nostro. Chi non comprende questa fondamentale verità non apprende che la lettera del galateo, rimanendo all'oscuro del suo spirito, e si trova così a interpretare una parte che non capisce con gli inevitabili errori che questo comporta. Chi invece accetta questo ruolo, chi si interroga sulle necessità altrui e sul proprio ruolo nella gerarchia, e lo traduce nel rispetto e in gesti solleciti, incarna il vero senso dell'eleganza. E ciò è valido in ogni tempo e in ogni luogo: rispetto, sollecitudine e adeguatezza sono l'indispensabile bagaglio del vero uomo di mondo.

Sapere stare al proprio posto e comportarsi di conseguenza è il nucleo del vero savoir vivre

 La pratica secolare di questa peculiare forma di altruismo e virtù sociale che è l'etichetta si è tradotta in vari volumetti di variabile formato e valore, a partire dal Galateo di Monsignor Della Casa, fino ai moderni manuali. Queste opere non devono essere considerate come una serie di istruzioni senz'anima da mandare a memoria: sarebbe in effetti quasi impossibile ricordare tutto ciò che contengono. Ciò che conta è il motivo per cui si fa in un certo mdo piuttosto che in un altro, o si dice una cosa piuttosto che un'altra. Una volta comprese queste motivazioni, di volta in volta pratiche, morali o storiche, seguire le regole del galateo si trasformerà quasi senza sforzo in naturale buon senso, oltreché nel piacere sempre intenso di saper stare a proprio agio tra la buona società.

Di seguito eccovi tre manuali da non perdere: 
  1. Galateo, ovvero dei costumi, di Mons. G. Della Casa (1558), testo completo in italiano da Wikipedia: per quanto datato resta sempre un caposaldo del genere
  2. Etiquette of Good Society, di Lady Colin Campbell (1893), testo in PDF scaricabile da Internet Archive: se volete conoscere le buone maniere dell'epoca di Downton Abbey questo è il libro che fa per voi
  3. Manners and Rules of the Good Society di Un membro dell'aristocrazia (1913): anche questo testo è scaricabile in PDF da Internet Archive: un po' meno dettagliato del precedente e scritto in modo più discorsivo condito da un pizzico di humour inglese
Avete qualche risorsa da segnalare? Fatecelo sapere, scrivete!



giovedì 22 novembre 2012

Roaring Twenties: la musica di (quasi) un secolo fa

Probabilmente avrete notato che è in corso un massiccio recupero di tutto ciò che ha almeno un centinaio d'anni o giù di lì: serie televisive sull'epoca edoardiana, blockbuster cinematografici su Sherlock Holmes e Dorian Gray, e perfino la moda e il design non disdegnano una certa tendenza retrò. Ovviamente questo non può che farci piacere, dopotutto vuol dire che il passato non è poi tutto da buttare. Ma la domanda che mi faccio mentre scrivo questo post è la seguente: cosa ascolto in sottofondo mentre cerco su internet l'ultima novità in fatto di recupero del classico? Ecco tre suggerimenti:

Max Raabe, il ritorno della musica da cabaret anni '20

Max Raabe & the Palast Orchester. Ha quasi cinquant'anni, ma sembra uscito da un cabaret della Berlino degli anni di Weimar. Voce profonda e suadente, ritmi ballabili o sincopati, stile inconfondibilmente classico: queste le chiavi del successo di questo cantautore tedesco che ha fatto del recupero della grande tradizione del cabaret anni '20 il suo cavallo di battaglia. Lo sentirete cantare in tedesco certamente, ma molto più spesso in inglese con reinterpretazioni di brani come Sex bomb o Oops...I did it again che ormai hanno fatto epoca. Altra caratteristica vincente è lo humor di questo prolifico cantautore che ha cominciato la sua carriera nel 1987 studiando e ristudiando spartiti d'epoca recuperati nei mercatini. La sua prima canzone, Kein Schwein ruft mich an (letteralmente Nessun maiale mi chiama, ma traducibile con il nostro "Non c'è un cane che mi chiami"), riprende quella tradizione di ironia sviluppatasi per bilanciare una atmosfera politica ed economica che si faceva sempre più cupa e difficile.

Easy Virtue, il classico stile inglese sconvolto dallo swing degli anni ruggenti

Easy Virtue Orchestra. Avrete certamento visto il film Un matrimonio all'inglese con Jessica Biel, Colin Firth e Kristin Scott Thomas: si tratta appunto della colonna sonora del film, con tutto il suo swing. La commedia, tratta da una piece teatrale di Noel Coward, è vivace anche se non certo da storia del cinema: la colonna sonora invece è proprio quello che ci vuole per ricreare a puntino l'atmosfera. All'interno si trovano covers di pezzi molto in voga negli anni '20 e '30 quali Let's Misbehave o Makin' Whoopee o altri brani di Cole Porter.  

La leggenda del pianista sull'oceano, la musica tra le due guerre

Ennio Morricone. Se volete davvero immergervi nell'atmosfera dorata di quegli anni ruggenti probabilmente vi saranno d'aiuto anche le composizioni classiche del maestro delle colonne sonore. Brani come quelli suonati da Novecento in La leggenda del pianista sull'oceano sono assolutamente un must, dentro c'è tutta l'energia di quegli anni in cui si pensava che il peggio fosse ormai alle spalle e che il futuro promettesse solo rose e fiori. Sappiamo dalla storia che non fu così, ma di quell'epoca ci resta la fiducia in sè stessi e nel progresso, e il rilassato godimento del presente che traspare anche da quelle note.

E voi come ricreate quell'atmosfera? Qual'è la vostra colonna sonora anni '20?